Vita

 

Quinto Orazio Flacco nacque a Venosa - colonia romana - l’8 dicembre del 65 a. C.

La famiglia di provenienza non era particolarmente agiata, ma il padre fu disposto ad ogni sacrificio per permettere al giovane Quinto di seguire un ottimo curriculum di studi, convinto com’era che un alto grado di istruzione permettesse migliori possibilità di carriera. Decise dunque di trasferirsi a Roma, in modo che il figlio potesse frequentare le migliori scuole della capitale dell’impero.

E fu un’idea vincente, tant’è che lo stesso Orazio non mancherà di ricordare nelle sue opere il proprio debito di gratitudine nei confronti del padre.

Anzi, questi continui riferimenti e la totale assenza di notizie sulla madre[1] hanno fatto ipotizzare che fosse morta quando il poeta era ancora in tenera età e che l’assenza della figura materna sia stata fra le cause della sua inquietudine esistenziale (Orazio soffriva di crisi d’ansia).

 

Il periodo ateniese

Dopo il liceo[2], nel 45 a. C., Orazio si recò ad [3].

Orazio, poco più che ventenne, ad Atene patria della democrazia, fu letteralmente affascinato sia dalla personalità di Bruto che dagli ideali repubblicani da lui rappresentati.

Si arruolò e ottenne il grado di [4]

 

Il ritorno a Roma

Tornato a Roma dopo l’amnistia, Orazio attraversò uno dei periodi più difficili della sua vita. Aveva 24 anni, ma nessuna prospettiva. I suoi beni erano stati confiscati, i suoi ideali democratici seppelliti insieme agli uomini che li avevano rappresentati. Si adattò a lavorare come scriba quaestorius, ma il lavoro del segretario gli stava stretto. Il livello dei suoi studi e le sue personali capacità gli facevano chiaramente sentire di poter aspirare a ben altro tipo di incarichi.

Eppure, dalla profonda insoddisfazione in cui si trovava emerse una scelta felice.

Sfogò le sue frustrazioni nella scrittura.

Già nel periodo ateniese aveva composto dei versi in greco, ma poi gli era apparso in sogno il dio Quirino che lo aveva dissuaso dal continuare: sarebbe stato un lavoro inutile come portare legna in un bosco.

Adesso, la rabbia che aveva dentro si sfogava nel risentimento aperto, così Orazio decise  di imitare analoghi modelli greci: e scrisse i Giambi.

 

L’incontro con Mecenate

Nel 38 a. C. si colloca l’avvenimento che cambiò la vita del nostro autore. Già da anni Orazio era in rapporto di amicizia con l’altro grande poeta dell’età augustea, Virgilio,[5] che in quell’anno lo presentò a Mecenate.

Gaio Cilnio Mecenate era una sorta di ministro delle attività culturali, responsabile delle strategie di comunicazione del principato, a cui Ottaviano aveva affidato il compito di reclutare scrittori che propagandassero l’ideologia della pax augusta.

Avere un incontro con questo personaggio significava dunque, per Orazio, la possibilità di entrare a contatto con la lobby dell’editoria più prestigiosa del tempo.

Dopo il colloquio con Mecenate non accadde nulla nell’immediato, il che portò nuovamente sconforto nella vita del nostro poeta, convinto di aver sciupato un’occasione fondamentale.

Dopo nove mesi, invece, Mecenate chiamò a sé Orazio e gli propose un rapporto di collaborazione che, nel tempo, lo portò a diventare il poeta ufficiale di corte, tant’è che a lui - nel 17 a. C. - fu affidato il compito di scrivere il carmen saeculare.

Orazio ricevette donativi sostanziosi, infatti nelle sue opere ricorda che grazie a Mecenate è ricco a sufficienza. Uno, in particolare, fu dono gradito al poeta: una villa in Sabina, fuori dall’affollato e caotico centro di Roma, in quel mondo contadinesco che per Orazio rappresenterà sempre il miglior luogo in cui poter condurre l’esistenza.

L’amicizia con Mecenate aprì a Orazio le porte del palazzo del princeps e Augusto arrivò a offrirgli l’ambito incarico di suo segretario privato, il che avrebbe permesso al nostro di venire a conoscenza di tutti i più delicati segreti di Stato.

Il poeta, tuttavia, rifiutò.

Qualcuno ha voluto vedere in ciò un riflesso del suo animo repubblicano, che mal sopportava il dominato di Ottaviano, e tuttavia sembra un’ipotesi romantica lontana dalla realtà.

Orazio, a quel tempo, era già un intellettuale organico[6], aveva pubblicamente lodato l’Augusto e la stabilità che l’impero aveva ricevuto grazie a lui e solo a lui.

Al contrario, avrà avuto un ruolo preponderante nel rifiuto il desiderio di riservatezza, quell’istinto tutto epicureo a vivere ritirato, nella sua villa lontana dal trambusto cittadino e da quella genìa di personaggi pronti a perdere la tranquillità dell’anima pur di vedere accrescere il proprio patrimonio.

Essere al centro dei segreti e dei vizi della corte, vivere a Roma capitale dell’indaffarato impero, spostarsi in continuazione da una provincia all’altra al seguito dell’imperatore, avrebbe significato vivere la vita da cui Orazio cercava di fuggire con tutte le sue forze.

 

La pubblicazione delle opere … la morte

Nel 35 a. C. il poeta fece il suo ingresso ufficiale nel mondo degli autori di un certo spessore con la pubblicazione del I libro delle Satire. Nel 30 furono pubblicati il II libro delle Satire e i diciassette Giambi, mentre nel 23 i primi tre libri delle Odi e nel 20 il primo delle Epistole

Nel 17 a. C. Augusto affidò a Orazio il prestigioso incarico di comporre il carmen saeculare, per la celebrazione dei ludi saeculares.

Dal 17 al 13 a. C. compose il quarto libro delle Odi e il secondo delle Epistole in cui è contenuta la cosiddetta Ars poetica.

Morì il 27 novembre dell’8 a. C., pochi mesi dopo la morte di Mecenate, vicino al quale fu seppellito.



[1] Mentre ricorda, ad es., di una balia.

[2] Il termine liceo non è latino, e qui è utilizzato solo come termine di paragone spicciolo con il nostro sistema formativo.

[3] Plutarco, Bruto, 24.

[4] Lo ricorderà lo stesso poeta - in Odi, II, 7 -  parafrasando un analogo episodio accaduto al poeta greco Archiloco.

[5] Si ritiene che l’amicizia derivasse dalla comune frequentazione degli ambienti epicurei campani

[6] Antonio Gramsci, nei Quaderni del carcere, immaginò che per condurre a termine la rivoluzione comunista bisognasse creare una coscienza rivoluzionaria. Gli intellettuali organici, nella sua visione, sarebbero stati i pensatori, gli artisti … che avrebbero espresso gli ideali politici della classe a cui appartenevano. L’espressione gramsciana è poi divenuta di uso comune e in questo senso, anche Orazio si può considerare un intellettuale organico, infatti nelle sue opere egli loda apertamente il principato di Ottaviano, facendo proprie le parole d’ordine del governo: pace, sicurezza …

 

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Opere

 

Di Orazio ci rimangono oggi tutte le opere, ad eccezione dei versiculi Graeci, scritti durante il soggiorno ateniese. In pratica possediamo tutta la produzione in lingua latina:

  • Giambi
  • Odi
  • Discorsi
  • Lettere

A questo elenco va aggiunto il Carmen saeculare, scritto nel 17 a. C. per celebrare l’avvento della nuova età dell’oro portata da Augusto.

Non risulta che dopo il 13 a. C. Orazio abbia più scritto.

 

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